Verso l’infinito e oltre

Marta Fracas Commodities Leave a Comment

Il futuro dell’umanità è nelle stelle. No, non è più solo la trama di un qualche avvincente film di fantascienza ma una realtà che si delinea sempre più distintamente all’orizzonte. E’ tempo di iniziare a valutare lo spazio e i corpi che lo popolano come veri e propri asset cruciali per il futuro.

L’Università australiana del South West Wales (UNSW) in collaborazione con la NASA ha condotto uno studio per valutare la reddittività economica delle miniere dell’universo, in particolare di quelle situate su una classe di corpi celesti, gli asteroidi.

Sembrerebbe che le miniere del futuro non verranno più scavate nel sottosuolo quanto migliaia di miliardi di chilometri sopra la nostra testa.
Il costo di tali miniere spaziali si aggirerebbe attorno ai 9 miliardi di dollari, relativamente un affare se si riuscisse a intrappolare parti degli asteroidi dotati di tali ricchezze nei pressi delle Terra. Secondo i promotori, per sviluppare l’industria mineraria nello spazio occorrerebbe investire circa mille miliardi di dollari.
E’ necessario sottolineare che la prospettiva e gli obiettivi rispetto a qualche anno fa sono decisamente cambiati, è stata scartata la possibilità di estrarre i metalli per esportarli sulla Terra e ricostruire le riserve in diminuzione sul nostro Pianeta, poiché il viaggio di andata e ritorno è stato ritenuto decisamente “antieconomico”. Piuttosto si trarrebbe di utilizzare tali materiali per rifornire le industrie che intendono portare avanti “in loco” un piano strategico di esplorazione spaziale.

Se per ora da tale business non vi è alcuna prospettiva di profitto all’orizzonte, Jeff Coulton, docente presso la Scuola di Contabilità UNSW ha asserito che “In 20, 30 o al massimo 50 anni saranno registrati utili”.
Tra i pionieri, convinti sostenitori dell’inaugurazione “dell’Era delle Miniere Spaziali” figura Planetary Resources, azienda che ha fondato il proprio core business sulla ricerca della ricchezza racchiusa negli asteroidi.
Secondo la Vision aziendale l’attuale economia spaziale non risulta più sostenibile perché spende miliardi di dollari in combustibile per razzi.
Una soluzione valida a tale impellente e massiccia necessità di carburante potrebbe trovarsi proprio sugli “abitanti più brutti” dell’Universo. Infatti dall’acqua presente sugli asteroidi è possibile estrarre idrogeno da utilizzare come combustibile per i razzi nonché per la normale idratazione degli astronauti. Attualmente i ricercatori contano circa 700.000 asteroidi nell’intero Sistema Solare ma si tratterebbe solo di una mappatura per riuscire a individuare quali siano ricchi di materie preziose.

L’installazione di vere e proprie stazioni di rifornimento spaziali potrebbe rivoluzionare quello che ancora oggi rappresenta uno dei più grandi vincoli all’espansione spaziale, in grado di estendere la vita dei satelliti per le telecomunicazioni e rimuovere detriti spaziali pericolosi per un costo minimo rispetto a quelli attuali.

Tuttavia la qualità più apprezzata degli asteroidi si trova incastonata proprio nella loro roccia. Si tratta di metalli preziosi come quelli del gruppo del platino, che sono alcuni tra gli elementi più rari e utili sulla Terra (quasi 1 prodotto industriale su 4 lo richiede per la propria produzione), fino ai metalli più comuni come ferro, nichel e cobalto, incredibilmente contenuti in forma pura, non ossidata.
Planetary Resource ha instaurato una Joint Venture per l’estrazione di materie prime dagli asteroidi che vanta addirittura il sostegno degli “Uomini di Google” Larry Page e Eric Schmidt. L’azienda sta inoltre portando avanti trattative con grandi compagnie minerarie di cui tuttavia non è ancora dato sapersi i nomi.
Il primo veicolo spaziale di Planetary Resource è stato battezzato Arkyd ed è partito in direzione della volta celeste la scorsa primavera. Si tratta di un particolare tipo di drone delle dimensioni di un desktop di computer e dotato di un telescopio a infrarossi per monitorare la temperatura della superficie degli asteroidi più “invitanti” nei pressi della Terra. Infatti più metallo è contenuto all’interno di tali corpi, meglio si distribuisce sulla superficie il calore che hanno assorbito dal sole; perciò un asteroide più freddo promette di essere più metallifero.

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Il sogno nel cassetto di Planetary Resource appare piuttosto ambizioso: compiere entro i prossimi decenni il primo viaggio su un asteroide e magari raccogliere campioni di roccia. Tuttavia, ci tiene a precisare Chris Lewicki, Presidente di Planetary Resource “All’inizio anche I conquistatori della California avevano portato a casa solo alcune pepite d’oro.” Per questo è difficile dire esattamente quando tali materie prime saranno disponibili su larga scala. Le tecnologie per il trasporto sono ancora in fase di test.

Planetary Resource è solo una delle tante start-up americane che mirano alla conquista dello spazio, di cui praticamente tutte hanno in comune lo stretto rapporto con la Silicon Valley.
Come convincere gli investitori a credere in un progetto che per ora non materializza risultati se non nell’immaginario delle società pioniere? Lewicki sostiene che “Parte della strategia della propria start up è lo sviluppo di tecnologie che non siano utilizzabili solo per l’estrazione di minerali nello spazio quanto anche in progetti terrestri all’avanguardia: programmi di mappatura delle rocce, filtri per l’acqua, occhiali antigraffio, termometri a infrarossi e trapani a batteria. Tutti queste nuove idee di business porteranno profitti alla nostra società molto prima di aver raccolto il primo pezzo di platino da un asteroide”.

Tuttavia ancora un ostacolo si frappone alla conquista dello Spazio, e questa non è rappresentata da nessun corpo o essere ostile presente nella volta celeste, quanto da regole che più terrestri non potrebbero essere.
Secondo quanto previsto nel 1967 “nessuno Stato può rivendicare la proprietà di un corpo celeste”. Perciò a chi apparterrebbero le materie prime estratte dagli asteroidi?

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