È terminata, ed è durata relativamente poco, l’esperienza sociale profetica in merito all’innovazione tecnologica e digitale e la conseguente nuova rivoluzione industriale. Non ci possono più essere auguri sull’evoluzione nel breve termine o scongiuri di una speranza per una sorta di “ritorno al passato”. Ormai ci siamo dentro.
Probabilmente il progresso per come lo intendiamo in questo articolo non è infinito, ma sicuramente è soggetto a una crescita esponenziale altrimenti non si parlerebbe di singolarità tecnologica, quel concetto accreditato dal matematico Vernor Vinge secondo cui, in realtà:
“Within thirty years, we will have the technological means to create superhuman intelligence. Shortly after, the human will be ended”,
che prende spunto dalla fisica considerando la singolarità gravitazionale (un punto dello spazio-tempo in cui una forza gravitazionale diviene infinita).
Il punto è che non importa se stiamo attraversando l’infinito o una semplice funzione crescente limitata, la questione è che ci siamo dentro e per seguire un qualsiasi trend crescente bisogna crescere e bisogna farlo secondo le sue leggi.
Spesso, purtroppo, questo aspetto non contempla una scelta e, nel caso delle imprese, la scelta sta solamente nel stare dentro o fuori da questo trend.
È possibile che per certi settori il progresso come aumento della produzione per date quantità di lavoro e capitale non sia più sufficiente nella realizzazione di un’efficace strategia competitiva?
Lo scorso Aprile, il rapporto Assinform (2015) ha contestualizzato chiaramente questo aspetto: il mercato e il settore non si sviluppano più in modo lineare ma crescono in funzione della progressiva penetrazione della digitalizzazione nei gangli profondi dell’economia della società.
A livello mondiale il processo di digitalizzazione è proseguito in modo molto accelerato nel 2014 e il mercato ne ha dato riscontro. La crescita è stata del 3,6% per un valore di 4.538 miliardi di dollari, pari al 5,8% del Pil mondiale, con dinamiche molto positive negli Stati Uniti e nei grandi Paesi emergenti, come Cina e India, mentre in Europa il mercato è cresciuto dello 0,6% e tra i fenomeni più rilevanti del 2014 vi sono da segnalare l’aumento dopo molto tempo delle vendite di PC che hanno superato i 5 milioni di unità, in crescita del 12,5%.
Secondo lo stesso rapporto sono quattro i driver che daranno sempre più il contributo alla crescita del mercato:
- cloud computing;
- mobile computing;
- internet of things (che con una crescita del 13% ha raggiunto quota di 1,6 miliardi di euro) e
- contenuti digitali e digital adversiting.
La prossima questione è: esistono settori che non saranno fortemente influenzati da questo grosso trend?
Alcuni di essi, dopo tutto, sono forti per la loro qualità, storicità e concretezza produttiva. A questo si potrebbe tuttavia ribattere pensando all’idea stessa di innovazione.
Riprendendo Enrico Valdani, direttore del Dipartimento di Marketing dell’Università Bocconi: “L’innovazione -è conclamato- è l’imperativo per sopravvivere nei mercati ipercompetitivi del XXI secolo”. Spesso, rivoluzionare delle tradizioni può mostrarne di nuove. L’idea infatti è che la stessa digitalizzazione si stia sempre più concretizzando. La cosa più istintiva e banale che può venire in mente in tal senso è lo sviluppo dell’e-commerce.
Oltre al tipo di innovazione che costituisce in sé, tale sviluppo ha permesso di migliorare la comunicazione aziendale verso l’esterno, di agire sul miglioramento della qualità del servizio al cliente, di ridefinire internamente i processi aziendali con l’obiettivo di aumentare i vantaggi in termini di efficienza e di riduzione dei costi e, infine, il vantaggio vero e proprio di utilizzare la rete come canale di vendita.
A partire dal 2013 il valore dell’e-commerce aveva già raggiunto il valore di 1,289 trilioni di dollari con un ruolo dominante per Stati Uniti e Canada (35,5% del mercato mondiale). È in Europa che la vendita di prodotti e servizi online registra una forte crescita e, in particolare, nell’Europa dell’est (con una crescita negli ultimi due anni del 30%*).
Questo fenomeno ha anche cominciato a inglobare, non in poca misura, il mercato del lusso. Dalla terza edizione di Digital Frontier emerge un 2020 da un quadro in cui l’industria del lusso vedrà i suoi ricavi avanzati del 50% proprio per effetto dello sviluppo dell’e-commerce. I clienti con una digital identity rappresentano infatti almeno il 90% della base utenti tra registrati (45%) e quelli contattabili tramite e-mail o push notification (41%) e saranno in grado di influenzare con i loro comportamenti la metà delle vendite globali di un trend. La capacità di sviluppo degli asset digitali insieme all’adozione di un approccio di digital costumer engagement evoluto sarà quindi cruciale per determinare il successo o la perdita di competitività dei marchi di moda.
Secondo l’E-Commerce Foundation in tutto il mondo le vendite complessive di beni e servizi online si attesteranno sui 2100 miliardi di dollari a fine 2015 (1840 miliardi a fine 2014), ovvero il 5% sul totale complessivo delle vendite retail e questa è la ragione che ha portato anche il mercato del lusso a rispondere a tali cambiamenti.
Ma considerando che captazione, conversione e fidelizzazione sono gli assi portanti del luxury marketing, come si può arrivare al cuore dei clienti passando attraverso lo schermo di un dispositivo?
È un quesito che ci siamo domandati. Abbiamo cercato risposta nelle parole di Massimo Fubini, CEO e fondatore di ContactLab: “Bisogna dare contenuti di qualità (testo e immagini), personalizzati sul cliente e al momento giusto, con la giusta frequenza. Certo, uno schermo non fornisce sensazioni tattili o olfattive come il prodotto stesso, ma sicuramente dà più di una pagina di giornale e più di un video in televisione. Tutto è da giocare nei dettagli.”
Arianna Brioschi, docente del Dipartimento di Marketing presso l’Università Bocconi sostiene:
“I marchi del lusso hanno adottato una strategia diversa rispetto al largo consumo in riferimento al digitale: hanno adottando una strategia più lenta. Una ragione sta nella poca conoscenza degli strumenti, ma sopratutto nel timore che il digitale potesse abbassare la premiumness della marca. L’interfaccia digitale ha solitamente l’obiettivo di avvicinare il consumatore al prodotto mentre il lusso mira proprio a mantenere la distanza per mantenere un’esclusività.”
Tra i vari marchi associabili al lusso, comunque, le strategie infine adottate sono state leggermente diverse in base al particolare posizionamento e storicità aziendale.
“Come molti brand della moda la scelta è quella di non dedicarsi all’implementazione di un servizio come l’e-commerce al fine di privilegiare la competenza di chi è davvero esperto nel farlo. Ad esempio, Armani si è affidato a Yoox.com per la creazione del proprio store virtuale con una propria e separata identità.”
Oltre all’e-commerce, vogliamo anche considerare l’approccio identificativo che le imprese di questo settore cercano di sfruttare tramite il digitale.
“Prada costituisce un esempio interessante: nel momento della creazione del sito, la sua idea non è stata quella di puntare sul prodotto, non voleva creare l’ennesima vetrina, ma il sito web diventava l’occasione per la marca di esprimere la propria filosofia di brand, che per Prada, tra l’altro, è molto legata all’idea di innovazione.”
Questo implica che veramente il digitale, attraverso le giuste promozioni di progetti più o meno speciali, possa essere uno strumento utile per consolidare il posizionamento del brand.
“Altre aziende, come Luis Vitton, hanno invece scelto un focus sul prodotto. In questo senso il sito internet è particolarmente utile per la fidelizzazione, permettendo al marchio di comunicare in profondità l’origine, l’heritage, la storia della marca su quei canali che in alternativa non avrebbero possibilità di essere trasmessi.”
Pensiamo quindi che il mercato del lusso, in particolare il fashion, abbia trovato nel digital un mezzo accessibile per il genere di contenuti che lo caratterizza attraverso un maggior senso dell’attributo dell’esperienza, fondamentale per tali brand.
Da uno studio condotto dal gruppo industriale italiano Altagamma Foundation risulta infatti che l’industria dei beni d’alta gamma sta riconoscendo il ruolo che il dot-com gioca nelle scelte d’acquisto dei consumatori: mentre le vendite complessive di prodotti di lusso sono cresciute di appena il 2% nel 2013, le vendite del lusso online sono aumentate del 20% destinate ancora ad aumentare (20 miliardi di euro**)
(*): L’evoluzione dell’e-commerce, Luiss Guido Carli
(**): Renata Perongini, Tesi di Laurea