Si è iniziato a parlare di “guerra valutaria” in seguito alla decisione del Primo Ministro giapponese Abe di cambiare tattica per stimolare l’economia, rimettendola in moto con un’azione aggressiva della banca centrale, la Bank of Japan (BoJ).
La strategia della banca centrale giapponese consiste infatti nell’immettere liquidità nel sistema, moltissima liquidità. Ciò ha influito sul deprezzamento dello yen nei confronti delle principali divise. Questo, a sua volta, rende meno costosi e quindi più competitivi i prodotti giapponesi sui mercati esteri, il che è di beneficio per la crescita economica nipponica.
E qui sta il problema: con la ripresa economica globale che arranca, il tentativo del Giappone di risolvere il problema della deflazione e rilanciare la sua crescita economica, deprezzando lo yen ha generato il timore che ci si possa trovare di fronte a una guerra delle divise, come quella accaduta negli anni ’30 del secolo scorso.
Lo schema di una guerra valutaria, nel caso semplificato di due Paesi, è questo: se la divisa del Paese A si deprezza rispetto a quella del Paese B, nell’immediato l’export del Paese B verso il Paese A ne è danneggiato, perché di colpo i suoi beni e servizi sono diventati più cari, mentre il Paese A è avvantaggiato e riesce a vendere di più. Allora anche il Paese B farà di tutto per deprezzare la sua divisa. E così via, a colpi di deprezzamento.
Come credo abbiate intuito, essendo i cambi dei prezzi relativi, è impossibile che tutte le divise possano deprezzarsi simultaneamente… quello del deprezzamento è un gioco a somma zero. Dunque si tratterebbe di una guerra economica totalmente priva di senso. L’unico caso in cui una guerra delle valute può avere senso è quello di un Paese relativamente piccolo, la cui politica di deprezzamento possa essere tollerata dai “grandi”. Ma non è questo il caso. Qui si fronteggiano grandi blocchi: Giappone, USA, Europa, UK, nonché i principali Paesi Emergenti.
Quali conseguenze?
Una guerra tra grande aree valutarie provocherebbe solo il risorgere di misure protezionistiche: ognuna di queste aree cercherà di alzare barriere economiche per far sì che le merci e i servizi più competitivi della altre aree non possano essere venduti all’interno del proprio perimetro valutario.
Le misure protezionistiche possono essere un tampone momentaneo, ma in definitiva danneggiano gravemente il commercio internazionale. Tra le conseguenze, si verificherebbero pesanti ricadute occupazionali, con perdita di molti posti di lavoro (proprio questo accadde nella “Grande Recessione” degli anni ’30, quando la Gran Bretagna iniziò una serie di svalutazioni competitive).