Crescita al rallentatore: cosa prevede il FMI

Marco Graziano Paesi

Ogni semestre gli occhi del mondo dell’impresa, dell’economia e della finanza sono puntati su Washington per l’appuntamento con il World Economic Outlook del Fondo Monetario Internazionale (FMI).
Le previsioni del Fondo sono incentrate sul potenziale di crescita a lungo termine, scomposto nei fattori di crescita d’impiego, incremento di beni produttivi e aumento di produttività.

FMI

Il potenziale di crescita è una misura del “limite di velocità” che l’economia di una nazione può sostenere prima che l’inflazione prenda il sopravvento, una sorta di indicatore delle potenzialità economiche strutturali al netto di fattori che influiscono nel breve termine.
L’ultima previsione (Aprile 2015) indica un tasso di crescita potenziale per il periodo 2015-2020 dell’ 1,6% nelle economie avanzate. Si registra un incremento dello 0,3% rispetto al periodo precedente, ma siamo ancora ben lontani dai livelli pre-crisi, segno di un clima economico ancora generalmente debole.
La “ripresa al rallentatore” è da imputarsi principalmente ad una solo modesta crescita degli investimenti in beni produttivi e ad una struttura del mercato del lavoro che lascia poco spazio ad incrementi del tasso di impiego.

L’ analisi dei fattori di crescita a lungo termine offre importanti indicazioni, che spesso sfuggono alla semplice analisi del PIL e delle politiche fiscali e monetarie, influenti principalmente sul breve periodo.
Un caso emblematico in questo senso è l’economia del Regno Unito: nel 2014 il PIL è cresciuto di un invidiabile 2,8% ed il tasso di occupazione, al 73,3%, è il più alto mai registrato. Tuttavia, i cittadini britannici devono fare i conti con una flessione dei salari reali dovuto non solo all’inflazione ma sopratutto alla stagnazione della produttività, che determina i salari nel lungo termine.
Modelli di crescita di questo tipo lasciano grandi perplessità sulla loro sostenibilità in quanto i dati più rassicuranti, come l’aumento del PIL, non sono accompagnati da corrispondenti segnali di buona salute nella struttura economica sottostante, ancor di più se si considera il permanere di un fattore “drogante” come i tassi di interesse prossimi allo zero.
Si spiega così la cautela dimostrata dal Fondo nelle sue previsioni: anche se gli indicatori della crescita economica sono incoraggianti, almeno per i Paesi sviluppati, questo non significa che i livelli di investimento, consumi e salari siano destinati ad aumentare di pari passo.
Rimane significativa anche la grande incertezza politica nell’Europa meridionale, una delle cause della depressione degli investimenti. Questi, a loro volta, hanno un effetto sulla crescita economica sia sul breve che sul lungo periodo, tramite un impatto negativo sulla quantità di asset produttivi e sull’evoluzione tecnologica.
In conclusione, le prospettive future sembrano ancora profondamente scosse dalla crisi: senza uno shock positivo nella produttività (magari derivante dalle nuove tecnologie) o una ripresa negli investimenti è lecito aspettarsi un’era di crescita flebile ed instabile.

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