Fare business, significa assumersi dei rischi. In una azienda il rischio principale è legato all’incertezza circa la generazione di utili futuri. I risultati economici non dipendono soltanto dall’attività specifica dell’azienda (ad esempio, dai volumi di fatturato) ma anche da altri fattori aleatori.
LE TIPOLOGIE DI RISCHIO
E’ possibile classificare le tipologie di rischio in tre macrocategorie:
- rischio aziendale;
- rischio finanziario;
- rischio operativo.
Rischio aziendale
E’ il rischio al centro della specifica attività d’impresa. Dipende dal prodotto o servizio offerto e dal settore in cui opera. E’ determinato dalle decisioni del management e dall’ambiente circostante. Questo tipo di rischio dipende dalle decisioni relative a:
- strategia aziendale;
- legislazione;
- cambiamenti tecnologici;
- strategie di marketing;
- diversificazione geografica;
- ecc.
Di fatto, si tratta di decisioni e rischi che le società sono “pagate per assumersi”, al fine di generare profitti.
Rischio finanziario
E’ il rischio associato all’incertezza sui risultati finanziari generati dal movimento dei tassi d’interesse, dei prezzi delle materie prime, dei tassi di cambio. E’ anche il rischio associato alla possibilità di non avere sufficienti risorse per l’operatività.
Il rischio finanziario può impattare sui risultati di una società in svariati modi: per esempio, gli utili possono diminuire, per effetto di un improvviso deprezzamento di una divisa straniera, nella quale è denominata un’importante fattura da incassare. Oppure, il margine operativo può essere eroso dall’aumento del prezzo di una materia prima.
Le aziende non sono (salvo casi eccezionali) in grado di influenzare la dinamica di tassi d’interesse, materie prime e divise. Di conseguenza, la maggior parte di queste aziende cercano di gestire i rischi finanziari gestire l’inevitabile impatto sui risultati economici. I manager “sono pagati per gestire il rischio finanziario”.
Rischio operativo
E’ il rischio legato a disastri e incidenti di ogni sorta (incendi, danni, esplosioni, ecc.), sono rischi che richiedono una copertura che esclude l’opportunità di guadagni. Esattamente il tipo di rischio per il quale le società sono “pagate per evitarlo” (si veda la Figura 1).
GESTIRE IL RISCHIO FINANZIARIO
Ci focalizzeremo sul rischio finanziario. In particolare sul potenziale impatto della variazione di fattori finanziari sui risultati aziendali, così come attesi in un determinato periodo di tempo (es. incertezza nel riuscire a raggiungere gli obiettivi di budget del trimestre).
Perché gestire il rischio finanziario?
In breve, perché le fluttuazioni dei mercati finanziari possono provocare seri danni alle aziende. A titolo di esempio, consideriamo la storia del rapporto di cambio USD (dollaro USA)/AUD (dollaro australiano) nel periodo 2006-2008, si veda la Figura 2A: il suo trend positivo e piuttosto stabile, avrebbe potuto facilmente suggerire di non coprire eventuali esposizioni a questo cambio. Poi, improvvisamente (Figura 2B), in pochi giorni, il cambio USD/AUD subì un tracollo, perdendo circa il 38%: abbastanza da stravolgere costi o ricavi, associati a tali valute.
Ora, consideriamo un flusso di cassa futuro, in USD, per un’azienda che ha come valuta domestica l’euro (si veda la Figura 3).
Il valore del flusso di cassa futuro, denominato in dollari americani, dipende dalle future valutazioni del cambio USD/EUR. Poiché il cambio futuro non è noto, è necessario comprendere i valori possibili e le relative probabilità.
Sebbene al cambio corrente (per semplicità, ipotizziamo sia 1.37) 1 milione di USD equivale a 730.000 EUR, effettuando una simulazione probabilistica, rappresentando cioè tutti i possibili valori dell’evoluzione del cambio e le rispettive probabilità, i risultati si collocano in un intervallo cha va da 620,000 fino a 840,000 EUR.
E’ un intervallo ampio, sebbene ciascun possibile risultato abbia differente probabilità di realizzarsi (la probabilità è proporzionale all’altezza delle barre blu).
La sostanza è questa: fluttuazione delle divise di questo genere, come quelle mostrate nella Figura 3, possono avere un enorme impatto economico. E’ di gran lunga meglio controllare e gestire questo rischio che subirlo passivamente. In ogni caso, per poter gestire un rischio, occorre prima essere capaci di misurarlo.
Misurare prima di gestire
Misurare, prima di gestire: il CashFlow at Risk (CFAR). Se si intende gestire in modo appropriato il rischio derivante da fluttuazioni dei mercati finanziari (divise, tassi d’interesse, commodities), occorre una struttura allo scopo.
I passi principali sono i seguenti:
- focalizzarsi su uno o più orizzonti temporali rilevanti (es. esempio fine anno);
- generare uno scenario, ossia un intervallo di possibili valori per la variabile finanziaria in questione, con riferimento all’orizzonte temporale prescelto;
- calcolare la distribuzione dei risultati finanziari (la “distribuzione di probabilità”), vale a dire l’intervallo di possibili valori per il flusso di cassa in oggetto;
- calcolare almeno un indicatore di rischio, ossia un indicatore statistico in grado di catturare e descrivere in modo sintetico l’essenza del rischio.
La parte più complessa del processo è la generazione degli scenari. Farlo in modo adeguato significa utilizzare una metodologia di natura probabilistica che consenta un’analisi accurata e realistica dei rischi di mercato nel loro insieme, considerando in modo integrato cambi, commodities e tassi d’interesse.
In eKuota utilizziamo una metodologia chiamata Parallel Filtered Bootstrap: un metodo simulativo che genera scenari finanziari, comprensivo di tutte le principali caratteristiche dei mercati, come: cambi repentini di regime, presenza di eventi estremi (crash finanziari), variazioni nelle correlazioni tra i fattori di rischio.
L’intervallo di valori rappresentato nella Figura 3 è stato generato proprio con questa metodologia.
Una volta generati gli scenari finanziari, la stima del rischio si sostanzia nella scelta di una metrica in grado di rappresentare adeguatamente il rischio di perdite.
Una delle metriche più usate, è il Cashflow at Risk (CFAR). È un indicatore inizialmente concepito per la misurazione e la gestione del rischio degli intermediari finanziari (che lo chiamano “Value-at-Risk”), ma che può essere applicato con successo anche nel mondo non finanziario.
L’idea del CFAR è intuitivamente spiegata nella Figura 4: il CFAR con probabilità p (nell’esempio p = 5%) corrisponde alla perdita che ci aspettiamo di superare solo in 5 casi su 100.
In termini statistici, si tratta di un quantile della distribuzione di probabilità dei flussi di cassa.
CFAR PER LA TESORERIA
Fino a ora, per questioni di semplicità espositiva, abbiamo considerate esclusivamente il CFAR per un singolo flusso di cassa. Tuttavia, la grande potenza di questo impianto metodologico è che il CFAR consente di misurare in modo integrato e uniforme i rischi. Il che consente di comparare rischi provenienti da fonti diverse, tenendo in considerazione i co-movimenti tra le variabili finanziarie.
Per esempio, ipotizziamo che la valuta base sia l’euro, e che tra 6 mesi vi siano tre importanti cashflow, in dollaro australiano (AUD), in valuta sudafricana (RAND) e in dollaro americano (USD). Come abbiamo visto prima, non sappiamo esattamente che valore avranno in euro questi incassi futuri. Se ne può solo dare una rappresentazione probabilistica, stimando una metrica di rischio per ciascun cashflow, cioè un CFAR per il flusso in USD, un altro per quello in AUD e un altro ancora per quello in RAND.
Tuttavia, la somma dei singoli CFAR è di gran lunga maggiore del CFAR dell’insieme dei flussi di cassa.
Questo perché il portafoglio di cashflows tiene in considerazione la loro correlazione – si veda la Figura 5.
Ne deriva che, in qualche misura (che dipende dalle valute in esame e dalle condizioni di mercato), una valuta può coprire il rischio di un’altra. Questo “hedging naturale” (o copertura dei rischi naturale) è dovuto all’“effetto diversificazione”.
Le implicazioni sono rilevanti: volendo coprire il rischio derivante dall’esposizione valutaria, generalmente non è necessario coprire tutte le singole esposizioni. Ciò è infatti inefficiente, poiché alcuni rischi vanno a eliminarne altri, grazie all’effetto diversificazione. Dunque, stabilire la politica delle coperture dei rischi finanziari a partire dal CFAR, comporta scelte più efficienti e un risparmio di costi di copertura.
Oltre a ciò, una misurazione quantitativa del rischio, utilizzando indicatori come il CFAR, ha diversi altri vantaggi:
- la scelta “coprire o non-coprire” può essere misurata con una certa precisione, migliorando la razionalità delle decisioni, assunte sulla base di un confronto rischi/benefici;
- si possono attuare procedure di controllo che assicurano il rispetto di limiti prudenziali rispetto all’esposizione a rischi finanziari;
- si ottengono report aggregati e sintetici delle esposizioni ai rischi finanziari, consentendo al management di assumere le corrette decisioni sia sulle coperture che, in generale, sulla gestione finanziaria;
- la quantificazione dell’impatto dei rischi finanziari, diffusa all’interno dell’azienda, migliora la consapevolezza nei confronti di tali rischi, aumentando la comprensione del business;
- la maggior cultura finanziaria e consapevolezza dei rischi, aiuta nei rapporti con gli intermediari finanziari (es. banche).